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Amerikalatina.net
E’ morto il comandante, hasta la victoria siempre!
Fidel Castro, líder máximo ed ex presidente di Cuba, è morto. Il leader rivoluzionario che conquistò il potere sull’isola nel 1959, rovesciando la dittatura di Fulgencio Batista, aveva 90 anni. Lo ha annunciato poco dopo la mezzanotte di venerdì (questa mattina in Italia) il fratello, Raúl Castro, attuale presidente dell’isola. «Il comandante in capo della Rivoluzione cubana è deceduto stasera alle 22.29», ha annunciato Raúl con voce tremante. «Il corpo di Fidel Castro sarà cremato nelle prossime ore», ha aggiunto Raúl, concludendo con lo slogan tanto amato dal fratello maggiore: «Hasta la victoria, siempre».
(da il Corriere della Sera del 26 Novembre 2016)
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Obama, storica visita a Cuba
L’AVANA
La vera rivoluzione è questa, non quella del 1° gennaio del 1959, quando Fidel Castro prese il potere defenestrando Fulgencio Batista, la vera rivoluzione è l’arrivo del presidente americano Barack Obama questa sera a Cuba per una visita di stato.
C’è il prima e c’è il dopo: ci sono delle visite che segnano una svolta epocale nel momento in cui avvengono, quando Richard Nixon arrivò in Cina nel 1972 per stringere la mano a Mao o quando abbiamo visto Ronald Reagan passeggiare per la Piazza Rossa nel 1988 con Michail Gorbaciov. Furono momenti che cambiarono il mondo. Ora, alcuni decenni dopo, tocca a Cuba. Era l’ultimo baluardo della guerra Fredda, e anche se la svolta l’abbiamo già avuta con lo scambio di relazioni diplomatiche e con l’alza bandiera all’ambasciata americana all’Avana l’anno scorso, sarà l’arrivo di Obama, le sue passeggiate per strada, il suo intervento allo stadio, il suo incontro domani mattina con il presidente Raul Castro, i suoi dialoghi con uomini d’affari cubani e americani e portare la vera rivoluzione. Sarà dopo la sua visita che nulla sarà davvero come prima fra Cuba e Stati Uniti, sotto ogni punto di vista, politico, sociale, economico, geopolitico.
È vero che Cuba, un’isola dei Caraibi con 11 milioni di abitanti, non è la Cina o la Russia. Ma Cuba è dietro l’angolo, è a poco più di cento chilometri dallo stretto della Florida. Sul piano simbolico il valore è immenso per la sua proiezione storica ed emotiva. Già in queste ore ad esempio nella corsa elettorale, ma anche in Congresso, i repubblicani contrari all’apertura di Obama sono scatenati e all’attacco. Promettono nuova durezza se andranno alla Casa Bianca, con le sopracciglia di Donald Trump ancora più minacciose del normale. Eppure non si tornerà indietro.
A partire dai prossimi giorni ci renderemo conto che la visita di Obama cambierà non solo gli orizzonti cubani, ma quelli geopolitici in tutto il Sudamerica. Per gli americani si tratterà di rivedere un filmino in bianco e nero perché Cuba è la Baia dei porci e la crisi missilistica all’apice della Guerra Fredda negli anni di Kennedy, è l’epopea di una mafia che non esiste più. È la storia, in Florida in particolare di una immigrazione nostalgica che ha cercato di riprendere il paese dal comunismo con personaggi improbabili come Muscolito, al secolo Eugenio Martinez, che fu indotto con altri a rubare documenti al Watergate per aiutare la causa controrivoluzionaria cubana. Episodio che costò l’impeachment a Richard Nixon. Ma anche in America, anche a Miami a Little Habana tutto è già cambiato. I cubani americani sono ormai soprattutto americani.
Sul piano economico si andrà verso la normalizzazione. Obama fra mille polemiche abolirà presto l’embargo. Martedi scorso ha già cambiato le leggi sul lavoro consentendo a lavoratori cubani di avere visti normali in America. E questo avrà un impatto soprattutto per i bravissimi giocatori di baseball cubani, che dovevano scappare per entrare nelle squadre americane. La Western Union ha già aperto decine di presenze per il trasferimento di danaro. La Att porterà tecnologia per le comunicazioni. Ma ci saranno investimenti nel turismo, nell’immobiliare, nel settore del design o in settori di industria leggera.
Cuba vuol dire influenza geopolitica nel continente sudamericano: i vecchi rapporti speciali con il Venezuela di Hugo Chavez, con la Bolivia di Evo Morales, l’Ecuador di Rafael Correa o il Nicaragua di Daniel Ortega tenevano alto il vessillo antiamericano e rivoluzionario con forti destabilizzazioni politiche ed economiche. Dopo la stretta di mano di questa mattina fra Barack Obama e Raul Castro, dopo il loro incontro, dopo la visita, attesa ma non confermata, con Fidel, la storia cambierà anche per tutto il Centro e Sud America.
(da IL SOLE 24ORE del 20/3/2016)
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Francia: l’Ocse rimetta Panama nella lista nera dei paradisi fiscali
La Francia ha deciso di chiedere all’Ocse (l’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo economico) di classificare Panama come un paradiso fiscale, alla luce dello scandalo dei Panama Papers. Lo ha reso noto il ministro delle Finanze, Michel Sapin.
A una domanda di un giornalista della radio francese Europe 1, Sapin ha detto di augurarsi «che l’Ocse si riunisca perché la stessa decisione (già presa dalla Francia) sia adottata dall’insieme dei Paesi interessati». Ieri lo stesso Sapin aveva informato il Parlamento che la Francia inserirà Panama sulla sua lista dei «Paesi non collaborativi».
da IL SOLE 24ORE del 6/4/2016
Secondo il quotidiano francese Le Monde anche l’ex ministro dell’Economia ed ex direttore del Fondo monetario internazionale, Dominique Strauss-Kahn, sarebbe coinvolto nei traffici di denaro a società offshore rivelati nei Panama Papers. Il fondo d’investimento lussemburghese Leyne, Strauss-Kahn & Parners (LSK), creato dal socio di DSK Thierry Leyne, avrebbe aiutato dei clienti ad aprire società offshore nei paradisi fiscali. In particolare avrebbe aperto e domiciliato 31 società offshore attraverso una filiale denominata Assya Asset Management Luxembourg (AAML). Le società servivano ad aprire conti in banche domiciliate in Svizzera, in Lussemburgo e ad Hong Kong. Secondo quanto scrive Le Monde ne traevano vantaggio «ricchi privati francesi, produttori audiovisivi asiatici e un importante gruppo di ristrutturazioni parigino che si sviluppa in Asia».
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Morto prete eroe del Nicaragua
Managua – Fu uno degli eroi della rivoluzione sandinista, premiato a livello internazionale perché, da ministro e anche prima, condusse una delle più grandi campagne di alfabetizzazione che l’America Latina ricordi. Ma c’era un problema: era un padre gesuita e il papa di allora, Giovanni Paolo II, giammai avrebbe voluto un consacrato in un governo “comunista” e lo fece sospendere dai gesuiti. Ma Fernando Cardenal è morto ieri ancora da prete con tutti i crismi, perché la “scomunica” di Wojtyla fu annullata nel 1997.
Cardenal fa parte di un “trio” di preti che furono nominati ministri nel governo del Nicaragua dopo la rivoluzione sandinista. Gli altri sono il fratello Ernesto, poeta e a sua volta sacerdote, e soprattutto Miguel d’Escoto Brockmann, uno dei maggiori portavoce della Teologia della Liberazione, nominato ministro degli Esteri, mentre Fernando era ministro dell’istruzione ed Ernesto dell’educazione.
Fernando e gli altri due presbiteri negli anni ’80 sfidarono l’ordine rivolto dal Vaticano di lasciare il governo rivoluzionario sandinista. E’ morto ieri a Managua all’età di 82 anni senza aver mai tradito i propri ideali, come invece si può tranquillamente affermare per la maggiore figura della rivoluzione, Daniel Ortega, disposto a tutto pur di non lasciare il potere. All’epoca del primo governo Ortega, Fernando Cardenal affermò – ricorda la Bbc – che avrebbe «commesso un grave peccato» se avesse lasciato il governo sandinista. «Non posso concepire che Dio mi chieda di abbandonare il mio impegno per la gente», disse in un’intervista.
Personalità notissima al tempo della guerra civile in Nicaragua, Fernando Cardenal fu sospeso `a divinis´ assieme al fratello per aver abbracciato la lotta armata con la quale il Comandante e poi presidente sandinista Daniel Ortega mise fine alla dittatura del dittatore Anastasio Somoza. Già durante la fase sandinista, prima di essere ministro dell’istruzione tra il 1984 e il 1990, Cardenal aveva promosso e coordinato una grande campagna di alfabetizzazione, che gli valse un riconoscimento mondiale da parte dell’Unesco.
Fernando fu il primo dei tre ex ministri a essere riaccolto nella Chiesa: nel 1997, dopo aver ripetuto un anno di noviziato tra i diseredati del Salvador, a 63 anni Cardenal fu riammesso a pieno titolo nell’ordine dei gesuiti, da cui era stato espulso nel 1984 proprio per aver fatto parte del governo sandinista. Nel 2014 papa Bergoglio annullò la sospensione a divinis a carico di d’Escoto e del fratello Ernesto, suscitando le ire dei cattolici tradizionalisti.
Lo stesso Ernesto Cardenal, che oggi ha 91 anni, ricostruì inquesto modo l’accaduto in un’intervista a Vita del 2004: «Dopo i saluti di protocollo, compresi quelli della guardia d’onore e della bandiera, il papa chiese al presidente Daniel Ortega, se poteva salutare anche i ministri. Naturalmente gli fu detto di sì; così il Papa si diresse verso di noi. Affiancato da Daniel e dal cardinal Casaroli cominciò a dare la mano ai ministri e, quando si avvicinò a me, io feci quello che, anche su consiglio del Nunzio, avevo previsto di fare se si fosse verificato questo caso: togliermi il basco e inginocchiarmi per baciargli l’anello. Ma egli non permise che glielo baciassi e, brandendo il dito come fosse un bastone, mi disse in tono di rimprovero: “Lei deve regolarizzare la sua situazione”. Siccome io non risposi, tornò a ripetere la brusca ammonizione. E questo mentre eravamo inquadrati da tutte le telecamere del mondo. Ho l’impressione che tutto questo fu ben premeditato dal papa. E che le televisioni fossero avvisate. In realtà, era ingiusta la reprimenda del Papa perché io avevo regolarizzato la mia situazione con la Chiesa. Noi sacerdoti che avevamo incarichi nel governo eravamo stati autorizzati dai vescovi, che avevano reso pubblica la loro autorizzazione (fino a quando il Vaticano ci proibì di mantenere tali incarichi). E la verità è che ciò che più disgustava il papa della Rivoluzione del Nicaragua era che fosse una Rivoluzione che non perseguitava la Chiesa. Avrebbe voluto un regime come quello della Polonia, che era anticattolico in un Paese a maggioranza cattolica, e pertanto impopolare. Quello che neanche lontanamente avrebbe voluto era una Rivoluzione appoggiata massicciamente dai cristiani come era la nostra, in un Paese cristiano, e dunque una Rivoluzione molto popolare. E peggio ancora, la nostra era una Rivoluzione con dei sacerdoti».
Fonte:
Da il Secolo XIX del 26 Febbraio 2016
Ernesto Cardenal Martínez (il fratello) è un poeta, presbitero e teologo nicaraguense. Protagonista della rivoluzione in Nicaragua del 1979, è tra i massimi esponenti della teologia della liberazione: è stato il fondatore della comunità religiosa di Solentiname.
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Guantánamo: Congresso blocca ancora la chiusura
Il Congresso degli Stati Uniti ha rinnovato questo martedì la proibizione di trasferire i prigionieri sistemati nella prigione di Guantánamo, nell’isola di Cuba, per evitare che il presidente Barack Obama chiuda il centro di detenzione militare.
Almeno 83 senatori su 100 hanno votato per mantenere la Legge di Bilancio della Difesa 2016, nella quale si ristabilisce quella restrizione. La Camera bassa aveva approvato la settimana scorsa, con 370 voti contro 58, di mantenere la proibizione del trasferimento, che riguarda i 112 carcerati di Guantánamo.
Una prima versione della legge è stata approvata in ottobre, ma Obama ha posto il veto, soprattutto a causa delle restrizioni a Guantánamo. Questa volta, la Casa Bianca non ha minacciato il suo veto perché sarebbe inutile, dato il Congresso avrebbe la maggioranza dei due terzi necessari per neutralizzarlo.
Il trasferimento di prigionieri negli USA è stato proibito dal Congresso nel 2011, impedendo al presidente di rispettare la sua promessa di chiudere la prigione militare, che è stata costruita nel 2002 in nome della “guerra contro il terrorismo” dichiarata dopo gli attentati dell’11 settembre 2001.
Ma il governo di Obama prepara apertamente un piano per trasferire negli USA 59 detenuti considerati i più pericolosi (gli altri 53 sono classificati come trasferibili all’estero).
Sono allo studio del Governo negli stati della Carolina del Sud, Kansas e Colorado, vari luoghi per la sistemazione di questi prigionieri. Il Pentagono deve pubblicare in breve una relazione al riguardo.
Tale decisione verrebbe attuata in sfida totale al Congresso e la maggioranza dei repubblicani denunciano da varie settimane che tale atto sarebbe illegale.
“Il Senato ha approvato molte volte nel corso degli anni questa proibizione, sostenuto da membri di entrambi i partiti”, ha detto Mitch McConnell, leader del gruppo repubblicano al Senato.
I legislatori degli stati nei quali si prevede di inviare i detenuti di Guantánamo sono particolarmente infuriati, sostenendo che quei luoghi si trasformano in potenziali punti di attentati.
Fonti:
http://www.articolotre.com/2015/11/guantanamo-congresso-blocca-ancora-la-chiusura/
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